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Il titolo "Amo Pasolini, ma non lo posso dire a mamma" si riferisce al tratto fortemente paesaggistico (quasi cinematografico) che l'autore ha tentato di imprimere quasi a fuoco sulla carta. Riguarda anche un aspetto reale della vita vissuta, cioè quelle scelte, come dedicarsi alla poesia, spesso intese come controcorrente e impopolari. Il linguaggio adoperato ha differenti sfumature: talvolta rimanda ad uno stile classico, con l'intento di celebrare un distacco irrealizzato, altre volte è più moderno, stigmatizzando il dolore per una raggiunta indipendenza. La nascita di qualcosa si compie attraverso la morte di qualcos'altro. La lacerante certezza di una perdita, la koiné, il tratto tipico dei luoghi, ove linguaggio è comunicazione e chiusura, ma anche palese manifestazione di una distorta divinità, pone l'uomo, dinnanzi ai propri demoni, alla battaglia. Da questo conflitto nasce l'inattesa armonia. La riscoperta dei luoghi, in un tempo fuori del tempo, è cosmogonia immanente nella narrazione. Il bisogno del locus amoenus rappresenta la necessità di una comparazione dell'ideale ricercato nel crepuscolo.